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Conosciamo l’iperventilazione

L’attività respiratoria viene definita “iperventilazione” quando i volumi di aria che passano attraverso i polmoni sono superiori ai 5 litri al minuto (parametro definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).

Respirare molto è utile?

Portare nei nostri polmoni una maggiore quantità di aria è utile? Una persona adulta e sana, a riposo, normalmente compie circa 12 cicli di respirazione al minuto, portando nei suoi polmoni circa cinque litri d’aria.

Si definisce iperventilazione quando la quantità di aria inalata supera questo valore. Se ad esempio si attuano 20 cicli di respirazione al minuto, il risultato sarà che la quantità respirata sarà di circa otto litri d’aria al minuto. Se per sette giorni noi continuiamo a respirare con questa frequenza, alla fine della settimana avremo inalato circa 30.000 litri di aria in più. Quantità sufficiente a riempire una piscina di piccole dimensioni.

A riposo e con la normale respirazione, cinque litri al minuto sono sufficienti per permettere di raggiungere la ottimale saturazione di Ossigeno da parte dell’Emoglobina.

Introdurre una maggiore quantità di Ossigeno non avrà alcun effetto benefico (anzi, concorrerà a formare radicali liberi, che sono formati da un atomo di Ossigeno con un elettrone spaiato), dal momento che per utilizzare quell’Ossigeno, sarebbe necessario aumentare il numero di globuli rossi nel sangue!

Infatti è il numero di globuli rossi a determinare quanto Ossigeno può essere assorbito ed utilizzato, ed è assolutamente inutile voler aumentare la quantità di Ossigeno, quando i globuli rossi ne sono già saturi.

L’iperventilazione acuta

Nell’iperventilazione acuta la respirazione è in genere rapida, rumorosa e caratterizzata da un manifesto movimento nel tronco

L’iperventilazione acuta è una sintomatologia evidente e si può osservare facilmente, ad esempio sulle persone durante gli attacchi di asma. La persona che ne è colpita respira in modo plateale, con sforzo toracico amplificato ed il respiro è frequente, rumoroso ed ampio.

L’iperventilazione acuta, oltre ai danni derivati dall’eccessiva eliminazione di CO2 organica e conseguente ipossia, provoca tensioni e dolori ai muscoli respiratori del torace, delle spalle, del collo e del dorso a seguito della loro iperattività. Può inoltre indurre, nelle forme gravi, a variazioni del flusso ematico cerebrale (FEC) e conseguente rischio di ischemia.

L’iperventilazione cronica

L’iperventilazione cronica può essere anche impercettibile e risultare non evidente ad un esame superficiale

Il dott. Buteyko stima, in base alle sue analisi, che il 90% della popolazione mondiale è formata da iperventilatori cronici.

L’iperventilazione cronica è l’atto fisico di respirare una quantità di aria maggiore a quella necessaria a garantire un corretto scambio gassoso negli alveoli (con adeguata saturazione di Ossigeno nell’emoglobina ed eliminazione di CO2 in eccesso). Può essere indotta da atti espiratori molto frequenti e corti, o a maggiore profondità con eccessiva espansione della cassa toracica, specie se il diaframma è poco mobile, anche come conseguenza di tensioni muscolo-tendinee, dovute a stress.

La sindrome di iperventilazione (HVS) è una condizione persistente che deriva dall’alterazione di una regolare respirazione, anche provocata da singoli e sporadici episodi di ventilazione profonda ed ampia.

L’Ossigeno contenuto nel sangue, viene rilasciato nei tessuti in base alle loro esigenze specifiche, e questo avviene attraverso le variazioni segnalate ai recettori dei capillari della quantità di CO2 presente in quel tessuto, in quel preciso istante.

Se a causa di iperventilazione cronica, la CO2 è presente in quantità insufficiente in tutti i tessuti, il segnale di inviare un maggior flusso di sangue e di cedere quindi più ossigeno è proporzionalmente meno intenso e viene sistematicamente sottostimato, provocando di conseguenza una condizione di ipossia (mancanza di O2) nei tessuti più delicati (cuore, cervello, muscoli) e alterando la funzionalità del sistema nervoso e circolatorio.

Riducendo i livelli di anidride carbonica, viene inoltre indotta una condizione di acidosi respiratoria, che diminuisce l’efficienza del sistema tampone che controlla e regola i valori del Ph fisiologico. La conseguenza è una costrizione dei vasi sanguigni che riduce il flusso e ne aumenta la pressione e la frequenza.

L’iperventilazione nella storia della medicina

I primi cenni storici sull’osservazione clinica della sindrome da iperventilazione, si hanno a partire dagli anni 1860-1865

È stato durante la guerra d’Indipendenza Americana che i medici militari, osservando gli effetti dello stress da combattimento sui soldati, descrissero una sindrome caratterizzata da:

  • fame d’aria
  • senso di soffocamento
  • confusione
  • stordimento
  • parestesie
  • affaticamento importante
  • intolleranza all’esercizio fisico
  • intorpidimento
  • dolori toracici

in seguito alla sindrome osservata sono stati dati vari nomi tra cui:

  • malattia da cuore irritabile
  • cuore del soldato
  • sindrome di Da Costa
  • sindrome da sforzo
  • astenia neurocircolatoria

Ciò venne attribuito in modo errato ad una condizione di saturazione da ossigeno.

Solo in seguito, negli anni 1903/1904, grazie alle ricerche del fisiologo russo Ivan Pavlov Werigo e dello scienziato danese Cristian Bohr, venne accertato che la vera causa della sindrome era la cronica carenza di CO2 fisiologica, che impedendo all’ossigeno di staccarsi dall’emoglobina causa una ipossia cellulare, vera causa scatenante dei sintomi osservati.

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