bambini, adolescenti, iperventilazione
Recenti studi clinici osservano che oltre il 20 % dei bambini e adolescenti soffre di una sindrome di iperventilazione cronica
Nel notiziario tedesco di aggiornamento per medici che ricevo periodicamente ho visto questo articolo che ovviamente ha attirato subito la mia attenzione, dal titolo “Hyperventilation: girlies atmen… “ Iperventilazione, le ragazzine respirano…. (ved. http://news.doccheck.com/de/45904/hyperventilation-girlies-atmen-ab/?cat=10&context=category)
L’articolo mette in evidenza che “vari scienziati hanno ora dimostrato che le sempre più numerose ragazze che presentano disturbi di ansia e depressione, hanno dei livelli troppo bassi di CO2 nell’aria espirata”, facendo riferimento a un recente studio condotto in Svezia, pubblicato con il titolo “Le adolescenti con disordini emotivi hanno livelli inferiori di CO2 nell’aria espirata, e una frequenza respiratoria superiore in confronto a quella di soggetti di controllo sani”. (ved. http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/psyp.12188/full
In questo studio si è accertato che tra la tensione emotiva e l’iperventilazione sorge un circolo vizioso, poiché i valori troppo bassi di CO2 causano delle alterazioni nel flusso di sangue nel cervello, (sull’argomento ved. anche Van den Bergh, Zaman, Bresseleers, Verhamme & Van Diest, (http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/psyp.12188/full#psyp12188-bib-0056) con uno sfasamento nella zona del cervello che regola il riflesso respiratorio automatico e un’alcalosi respiratoria.
Vengono inoltre citati numerosi studi precedenti che dimostrano nessi analoghi, e si conclude con “la scoperta che la quantità di CO2 nell’organismo è il più rilevante ed essenziale elemento di previsione quanto alla situazione clinica emotiva”
Questa “scoperta” non può che far piacere; peccato tuttavia che gli autori dello studio ignorino a quanto pare che il prof. Buteyko era arrivato a queste stesse conclusioni oltre 60 anni fa (e anche numerosi studi clinici successivi hanno poi fatto osservazioni analoghe!)
Sempre nello stesso articolo tedesco si cita uno studio francese del marzo 2013 (ved.http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23375424) in cui si è appunto osservato che la percentuale di soggetti cronicamente iperventilanti, tra i bambini e adolescenti, è del 20% circa.
“Stranamente”, osservo io, questa percentuale è simile a quella riguardante la frequenza dell’asma, poiché in numerosi paesi ormai un bambino su 4 o 5 è asmatico.
E in effetti, nello studio citato si è constatata, nel gruppo di asmatici, una percentuale (55%) di iperventilanti pari quasi al triplo rispetto a quella (18,6%) presente nel gruppo dei non asmatici.
La conclusione dello studio è che sebbene i criteri diagnostici per la sindrome di iperventilazione rimangano dibattuti, questo studio dimostra che si tratta di un disturbo reale e frequente.
Non posso che ripetere: fa piacere, dopo le constatazioni di K. P. Buteyko e un secolo dopo quelle di altri scienziati che ancora prima di lui avevano osservato quanto importante fosse questo “disturbo” (pur senza trarne, come Buteyko, tutte le necessarie conseguenze nel campo terapeutico), vedere che finalmente un numero sempre maggiore di studiosi si sta accorgendo dell’importanza e frequenza del fenomeno dell’iperventilazione e delle sue conseguenze fortemente negative per la salute psico-fisica-emotiva.
Meglio tardi che mai!
Un nuovo strumento per la sindrome delle apnee notturne
Per questo problema, caratterizzato da un insieme di sintomi e disturbi che sono provocati da ricorrenti interruzioni della respirazione durante il sonno, è stato ora approvato dall’organo di controllo americano FDA (e sarà disponibile in America verso la fine dell’anno) un nuovo strumento che dovrebbe dare un notevole aiuto per chi soffre di questo disturbo, anch’esso sempre più frequente; (correlato, tra l’altro, anche all’obesità, in crescita ovunque).
Il New England Journal of Medicine (gennaio 2014), riferisce in merito agli esiti positivi della sperimentazione clinica con questo strumento, consistente in un piccolo neurostimolatore, che viene inserito chirurgicamente nel paziente, con un filo che va dalla mascella all’orecchio e un altro che va verso il petto.
L’apparecchio viene attivato, attraverso controllo remoto, prima di andare a dormire, ed entra in azione automaticamente quando ne rileva la necessità.
Le ricerche pubblicate sul New England Journal of Medicine hanno accertato che questo apparecchio consente una riduzione del 68% degli episodi di apnea nel sonno. Come ha osservato il prof. Kryger, dell’Università di Yale, “ c’è un grande bisogno di nuovi trattamenti sicuri, efficaci e ben tollerati in questo campo questa terapia costituisce un grande progresso nel trattamento dell’apena notturna in quei casi in cui tutti gli altri trattamenti falliscono”
Si tratta indubbiamente di un progresso, al quale in certi casi sarà utile e necessario ricorrere, per questo problema che causa disagi considerevoli nella vita delle persone.
Peccato soltanto che, tra gli altri strumenti e rimedi eventualmente da tentare prima di ricorrere a questa procedura chirurgica (pur poco invasiva), non venga presa in considerazione l’opportunità di un riaddestramento respiratorio diretto a ridurre l’iperventilazione, nonostante i successi osservati da molti, anche per l’apnea notturna, con questa tecnica.
Indico sull’argomento un articolo ( http://www.buteyko.info/pdf/Sleep_Apnoea_and_Breathing_Retraining_Report_May_2012.pdf) pubblicato nell’ottobre 2012 sul periodico australiano di infermieristica , in cui sono riportati i risultati di un’analisi effettuata per conto del BIBH, Buteyko Institute of Breathing and Health, uno degli istituti Buteyko più importanti e con maggiore esperienza situato in Australia, paese in cui il metodo Buteyko è stato introdotto all’inizio degli anni ’90 da emigrati russi che avevano per primi fatto conoscere e insegnato questo metodo al di fuori dalla zona dell’ex Unione Sovietica.
Questa analisi, diretta ad accertare l’efficacia dell’addestramento con il Metodo Buteyko in casi di apnea notturna, è stata effettuata su ben 11.000 persone che avevano voluto ricorrere a questo addestramento per cercare di mettere rimedio alla loro apnea.
E questi sono stati i risultati ottenuti, pubblicati sull’articolo in questione: il 95% dei soggetti ha ottenuto un miglioramento nella qualità del sonno e l’80% ha potuto fare a meno dei vari strumenti di cui prima doveva servirsi. Anche per problemi come il russare, mal di testa, bassi livelli di concentrazione, memoria ed energia durante il giorno, si sono riscontrati dei miglioramenti nella maggioranza dei partecipanti.
Ovviamente questi risultati, abbastanza impressionanti, vengono tenuti in ben poco conto in campo medico-scientifico, poiché non sono stati ottenuti con uno “studio clinico randomizzato in doppio cieco” e vengono considerati come “risultati aneddotici”.
Il che sarebbe giusto se si trattasse di risultati riguardanti poche decine, o anche poche centinaia di persone, in cui in effetti non si potrebbe escludere l’effetto placebo, mentre oltre 11.000 persone non mi sembra possano essere considerate come “aneddoto”, soprattutto quando si tratta di un metodo terapeutico che se ben insegnato e praticato, anche quando non porta a miglioramenti non fa male, ed è comunque utile anche in aggiunta alle altre terapie eventualmente necessarie ed inevitabili.
Avviso importante:
Tutti i notiziari qui riportati hanno solo scopo informativo e, anche se alla redazione ha partecipato un medico, non intendono in alcun modo dare consigli medici, per i quali sarebbe necessario un esame medico individuale e di persona, con approfonditi accertamenti.