Notizie Salutari febbraio 2018

Notiziario periodico redatto dalla dott.ssa Fiamma Ferraro per Buteyko-Italia e riprodotto su autorizzazione

Epilessia e respiro

Non mi stanco mai di ripetere l’importanza dell’ossigeno e dell’anidride carbonica in quanto sono alla base di numerosi processi biochimici fondamentali per la vita; a mio avviso si può affermare che sono vita.

Durante i miei corsi faccio sempre presente che un riaddestramento respiratorio non è una panacea universale, ma sono pochi i casi in cui questo riaddestramento respiratorio personalizzato non apporta benefici.

Pochi forse metterebbero in correlazione ad es. un problema come l’epilessia con il modo di respirare, ma per fortuna c’è chi l’ha fatto.

Il termine “epilessia” è stato coniato in tempi antichi; esso deriva dal verbo greco επιλαμβάνω che, al passivo (ἐπιλαμβάνομαι) significa “essere colto di sorpresa” o anche “essere invaso”, e nei casi di epilessia vi è appunto un’ inspiegabilità ed imprevedibilità delle sue manifestazioni, tanto che in tempi nemmeno troppo antichi l’epilessia veniva persino ritenuta come causata da forze maligne della natura o da divinità avverse.

Non si tratta di una malattia “mentale” nel senso psichiatrico, bensì di un’affezione neurologica.

Dato che ne esistono più forme è più “corretto” parlare di epilessie al plurale, piuttosto che al singolare.

Tra le malattie neurologiche è una delle più diffuse. Occorre inoltre distinguere tra epilessia e crisi epilettica.

Con il termine crisi epilettica si intende una varietà di sintomi neurologici dovuti a una scarica elettrica anomala, sincronizzata e prolungata, di cellule nervose della corteccia cerebrale.

Con il termine epilessia, invece, si intende un disturbo neurologico caratterizzato da un’imprevedibile periodicità del verificarsi di crisi epilettiche.;

Quanto in generale al collegamento tra respiro ed epilessia segnalo uno studio recentissimo (pubblicato sul celebre periodico “Lancet” nel gennaio di quest’anno) e molto interessante: Respiratory dysfunction progresses with age in Kcna1-null mice, a model of sudden unexpected death in epilepsy. (La disfunzione respiratoria aumenta con l’età in topi Kcna1-null; un modello di morti improvvise ed inaspettate in casi di epilessia) condotto dai ricercatori Simeone KA, Hallgren J, Bockman CS, Aggarwal A, Kansal V, Netzel L, Iyer SH, Matthews SA, Deodhar M, Oldenburg PJ, Abel PW, Simeone TA.

L’obiettivo dello studio era di valutare l’ipotesi che pattern respiratori disfunzionali potessero essere associati a morti improvvise in topi epilettici.

Con “modelli respiratori errati” i ricercatori fanno riferimento alla frequenza ed al volume respiratorio (ovvero “iperventilazione”, come osservato dagli stessi ricercatori), ad apnee “inopportune” ed alla diminuzione della saturazione di ossigeno che ne consegue.

Il centro respiratorio di questi topi è stato volontariamente “irritato” mediante la somministrazione di metilcolina in varie dosi.

Si è visto che vi era una correlazione tra i dosaggi di metilcolina e le crisi epilettiche che conseguivano a questa iperventilazione indotta.

Pertanto i ricercatori concludono che la presenza di pattern respiratori errati potrebbe essere collegata a questi decessi.

E’ risaputo in medicina che l’unico modo per diagnosticare crisi epilettiche consiste nel provocarne una ed osservare poi i cambiamenti sull’elettroencefalogramma.

Sono vari i modi per scatenare una di queste crisi, ed uno di questi modi consiste proprio in un’iperventilazione forzata, anche se negli ultimi anni i metodi sono diventati più “soft”.

Peccato peraltro che dai ripetuti studi sui vari problemi, spesso non si arrivi alle raccomandazioni terapeutiche del caso prima che trascorrano decenni.

A questo proposito infatti segnalo ad es. un altro studio risalente al 2007, che in relazione alle crisi epilettiche arriva a conclusioni molto analoghe.

Come già scritto: I benefici della CO2 (e come noto, quando si iperventila si perde troppa CO2) non finiscono mai di stupire. Vedo solo oggi un articolo riportato sul “Medical News Today” del 9 giugno 2007 in cui, con il titolo “Anidride carbonica. Un trattamento privo di costi per le crisi epilettiche”, sono riportati i risultati e le scoperte di uno studio effettuato presso il centro WIRED, dell’organizzazione scandinava Nordforsk.

Il prof. Kai Kaila, direttore della ricerca, nel commentarne i risultati, osserva che la CO2 “potrebbe fornire un mezzo sicuro, privo di costi e di effetti collaterali, per trattare nei bambini gli attacchi di tipo epilettico collegati alla febbre elevata. 

Questa procedura potrebbe fornire sia dei benefici immediati, poiché gli attacchi vengono fermati molto rapidamente, sia a più lungo termine, poiché viene così diminuito il rischio di sviluppare un’epilessia a un’età più adulta”.

Le sperimentazioni effettuate presso la WIRED hanno dimostrato che gli attacchi epilettici provocati dalla febbre elevata nei bambini piccoli possono essere fermati rapidamente (entro 20 secondi) e senza alcun rischio, aggiungendo semplicemente CO2, ad una concentrazione del 5%, nell’aria inalata.

Come si osserva nell’articolo, questa terapia non dovrebbe essere applicata solo in caso di attacchi provocati dalla febbre, poiché sembra che potrebbe invece essere efficace anche per arrestare l’epilessia vera e propria negli adulti.

La prima osservazione che viene in mente nel leggere questo articolo è la seguente: ma non sarebbe preferibile mantenere la nostra CO2, che già abbiamo dentro di noi, al suo livello ottimale (6,5 %) anziché dissiparla con un eccesso di respirazione per poi doverla restituire all’organismo dall’esterno.

Sarebbe indubbiamente molto meglio, e se ciò venisse fatto, allora probabilmente ai bambini non verrebbero gli attacchi in questione.

Tuttavia, una volta che gli attacchi siano già in atto, non è certo il momento migliore per iniziare ad abituarsi, con il metodo Buteyko, a respirare di meno e a trattenere così nell’organismo un po più di CO2.

E’ preferibile in questi casi somministrare dall’esterno un supplemento di CO2, come indicato nello studio, ed aspettare che l’attacco sia passato per iniziare poi l’addestramento respiratorio con il metodo Buteyko, prevenendo in questo modo futuri nuovi attacchi.

L’altra osservazione che mi viene spontanea è che il prof. Buteyko, nel descrivere i benefici derivanti dal suo metodo, ha semmai detto/assicurato troppo poco e non certo troppo, poiché l’epilessia e gli attacchi epilettici non sono in genere elencati tra le malattie che, secondo Buteyko, possono essere trattate con il riaddestramento del respiro, e invece, a quanto ora sta emergendo, sembra che sia possibile ottenere benefici anche in questi casi, semplicemente riaddestrando la respirazione in base ai principi evidenziati da Buteyko.

Ritengo quindi che a questo punto dovrebbe ormai risultare assodato che un riaddestramento respiratorio diretto all’eliminazione dell’iperventilazione non può che far bene, anche nei casi in cui magari non è sufficiente per risolvere il problema e dovrebbe ormai far parte del trattamento di chi soffre di crisi epilettiche.

E’ però fondamentale che questo riaddestramento sia effettuato da un istruttore esperto, in quanto degli esercizi respiratori insegnati male potrebbero indurre la persona a sforzarsi troppo e questi sforzi potrebbero scatenare una crisi.

Il respiro: ponte di collegamento tra psiche e soma, tra stato d’animo e corpo.

Sono innumerevoli gli studi scientifici che provano il collegamento tra stato d‘animo e salute fisica, ma purtroppo in quasi tutti questi studi non è preso in considerazione il modo di respirare, che è uno dei fattori alla base di questo collegamento, che tra l’altro è di particolare importanza in casi di aggressività, irritabilità, stress ed ansia. Casi in cui appare più evidente il reciproco rapporto tra stati mentali e funzionamento dell’organismo.

Riporto quanto scritto anni fa: ”Ricercatori del National Institute on Aging (NIA), hanno pubblicato sul Journal of the American Heart Association i risultati di uno studio della durata di 3 anni, condotto su ben 5614 abitanti di 4 villaggi in Sardegna. Da questo studio è risultato che coloro che avevano caratteri aggressivi e facili alle arrabbiature, al termine dei 3 anni dimostravano un aumento del tasso di arteriosclerosi in misura notevolmente maggiore rispetto ai partecipanti con un carattere calmo e non aggressivo".

I ricercatori nel loro studio fanno varie ipotesi ed esaminano vari fattori. Non viene però preso in esame (e questo ormai purtroppo non mi stupisce più!) il modo di respirare dei partecipanti allo studio.

Anche senza necessità di studi clinici sappiamo tutti che quando siamo arrabbiati ed agitati tendiamo a respirare molto di più che quando siamo calmi, e in chi tende ad arrabbiarsi spesso i continui episodi di iperventilazione (eccesso di respiro) tendono infine a far prendere l’abitudine di respirare costantemente in eccesso rispetto alle esigenze.

Sono sicura che se gli studiosi che hanno condotto l’esperimento avessero esaminato il modo di respirare dei 5.614 partecipanti, avrebbero constatato che il gruppo “arrabbiato” respirava costantemente più del gruppo calmo”.

Vi sono peraltro vari studi (ved. ad es. il Journal of Neuroscience, 2016 / Northwestern University, DA) che mettono in rilievo il collegamento essenziale tra modo di respirare e cervello/stato d’animo, ed è ormai scientificamente del tutto provato che una respirazione calma e non eccessiva attiva il sistema nervoso parasimpatico ed attenua quello simpatico nonché l’attività dell’amigdala (sezione del cervello particolarmente attiva in situazioni di irritazione e stress).

Il fatto che il modo di respirare influenza l’attività cerebrale (fatto del resto noto da secoli ai maestri di Yoga e Qiigong), pur scientificamente provato, è purtroppo ancora oggi non adeguatamente utilizzato a scopo terapeutico.

Che fare quindi per calmarsi se si ha un carattere inquieto e facile alle arrabbiature?

Sono possibili molti approcci (dalle sedute di psicoterapia a varie tecniche di meditazione e rilassamento a preparati fitoterapici ed altro ) ma la procedura che a mio avviso funziona più rapidamente è quella consistente nel riaddestrare il respiro con la tecnica Buteyko.

Quando si è calmi si respira automaticamente di meno, e questo collegamento funziona in entrambi i sensi: se si prova a calmare-rallentare il respiro con un esercizio Buteyko si calma automaticamente anche lo stato d’animo.

Uno dei migliori propositi che spero tutti abbiano preso per l’Anno Nuovo è quello di non “stressarci” e preoccuparci troppo per dei problemi spesso superficiali.

Come scrivevo anche in un passato Notiziario, la reazione di numerosi lettori sarà ora: “E’ facile dirlo, ma non farlo!”, e non posso che essere d’accordo.

Ci sono indubbiamente varie efficaci tecniche di biofeedback, rilassamento, meditazione ed altro ma per chi, magari nonostante queste tecniche, si trova in uno stato di ansia e stress è difficile costringersi, con la volontà, ad eliminare questo stato d’animo e tornare tranquillo e sereno.

In genere non ci si riesce e si rischia quindi di agitarsi ancora di più; è invece più facile intervenire direttamente sul fattore respiro che, entro certi limiti, “obbedisce agli ordini” della volontà cosciente.

Pertanto, dato il legame provato tra modo di respirare e stato d’animo, se si torna a respirare in modo “tranquillo” si riesce in genere a calmarsi rapidamente e se, con un addestramento Buteyko, si riesce a tranquillizzare permanentemente il proprio riflesso respiratorio automatico, allora in linea generale si riesce a rendere più tranquillo e sereno anche il proprio stato d’animo.

Avviso importante:

Tutti i notiziari qui riportati hanno solo scopo informativo e, anche se alla redazione ha partecipato un medico, non intendono in alcun modo dare consigli medici, per i quali sarebbe necessario un esame medico individuale e di persona, con approfonditi accertamenti.

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