Notizie Salutari marzo 2018

Notiziario periodico redatto dalla dott.ssa Fiamma Ferraro per Buteyko-Italia e riprodotto su autorizzazione

Temperatura dell’aria espirata. Un indicatore diagnostico?

In questi giorni non si parla d’altro che del maltempo e degli sbalzi di temperatura.

A tale proposito, la mia curiosità innata mi ha indotta ad effettuare una ricerca su potenziali correlazioni tra “asma e temperatura”.

In genere chi cerca trova, ed ecco uno studio “curioso” che ho trovato: “Usefulness of the Exhaled Breath Temperature Plateau in Asthma Patients” (Utilità del livello della temperatura dell’aria espirata in pazienti asmatici) dei ricercatori Crespo Lessmann A, Giner J, Torrego A, Mateus E, Torrejón M, Belda A e Plaza V.

Lo studio riferisce che la Exhaled Breath Temperature, la temperatura dell’aria espirata, è stata presa in considerazione come parametro clinico nella valutazione di pazienti affetti dall’asma, per valutare lo stato di infiammazione/ restrizione bronchiale ed il controllo/gravità dell’asma.

E’ stata dunque misurata la temperatura dell’aria esalata da 69 asmatici.

Non sorprendentemente, i risultati sono stati “contrastanti”.

Cerchiamo di capirne il perché, in un’ottica “Buteykiana”.

Innanzitutto, non viene riportato se la temperatura è stata rilevata nell’aria esalata dal naso o dalla bocca, ma immagino che sia stata misurata l’aria esalata dalla bocca.

Purtroppo molti studi non considerano la differenza tra questi due parametri, ma cosa ci dice la fisiologia e l’anatomia umana?

L’aria che passa dal naso viene scaldata ed umidificata dai seni nasali e paranasali, per cui ipotizzo che nello stesso soggetto vi sia una differenza, pur se lieve, tra la temperatura dell’aria esalata dal naso e quella esalata dalla bocca.

Inoltre, la temperatura dell’aria esalata è anche influenzata dall’ambiente esterno; andrebbe pertanto valutato anche questo fattore.

La conclusione è comunque stata che il parametro in questione (temperatura dell’aria esalata) non è ancora uno strumento utile per la gestione dell’asma e che occorrono ulteriori ricerche.

Vari altri studi sono stati effettuati sull’argomento, tra i quali il più interessante appare il seguente, pubblicato nel 2017: ”Validation of the Exhaled Breath Temperature Measure Reference Values in Healthy Subjects”-Giovanna E. Carpagnano, MD, PhD; Maria P. Foschino-Barbaro, MD; Corrado Crocetta, MD; Donato Lacedonia, MD, PhD; Valerio Saliani, MD; Luigi Davide Zoppo, MD; and Peter J. Barnes, MA, DM, DSc.

In questo studio, in cui il numero dei partecipanti, anche adulti, era più numeroso, sono stati valutati vari altri fattori, tra cui la differenza di temperatura tra asmatici e soggetti sani, e si è osservato anche che il livello della temperatura esterna influenzava la temperatura dell’aria esalata, e quindi è stato elaborato un relativo parametro di correzione.

La conclusione di questo studio è stata peraltro che occorrerebbero ulteriori studi “data l’importanza che la temperatura dell’aria espirata potrebbe rivestire nello studio delle malattie respiratorie ed il ruolo che potrebbe svolgere in queste malattie”.

Pertanto, in attesa che questi “ulteriori studi” siano effettuati, forse la PC (pausa-controllo), per la quale non serve alcuna attrezzatura sofisticata e, se bene appresa può essere effettuata da soli, può offrire una diagnosi, pur indicativa e da approfondire, sullo stato delle vie respiratorie/infiammazione/salute in generale.

La medicina psicosomatica: collegamento tra mente e corpo ed il ruolo del respiro in questo collegamento

Nel Notiziario del mese scorso mettevo in rilievo come la medicina psicosomatica, vista da molti come qualcosa di “moderno” sia in realtà molto antica (ved. l’antico detto “mens sana in corpore sano”) e come il fatto che il modo di respirare agisce da importante “ponte” in questo collegamento, influenzando non solo la salute del corpo ma anche l’attività cerebrale, sia ancora più antico (noto da molti secoli ai maestri di Yoga e Qi Gong), ed ora scientificamente provato da vari studi.

Tra questi studi citavo ad es. quello riportato nel Journal of Neuroscience, 2016 / Northwestern University, DA) che mette in rilievo come una respirazione calma e non eccessiva attivi il sistema nervoso parasimpatico, ed attenui invece quello simpatico nonché l’attività dell’amigdala (sezione del cervello particolarmente attiva in situazioni di irritazione e stress e preoccupazione).

Ho negli ultimi tempi approfondito l’argomento a Vienna, grazie agli studi dell’Accademia di biofeedback e neurofeedback del Dr. Eggetsberger, il quale durante l’ultimo trentennio, studiando anche le onde cerebrali di maestri di yoga che entravano in stato di meditazione profonda/trascendenza, ha misurato i cambiamenti che si verificavano in queste onde cerebrali durante questo stato.

Inoltre (ed è questo che qui ci interessa) egli ha misurato, con gli stessi stessi strumenti precisi e scientificamente provati, i cambiamenti che si verificano nel cervello durante i vari modi di respirare, accertando come durante l’inspirazione venga nel cervello stimolata in particolare la zona dell’amigdala e dell’ippocampo, il che attiva in particolare il sistema nervoso autonomo simpatico, e questa attivazione consente di riconoscere più rapidamente le situazioni di pericolo e rende più rapidi i riflessi automatici di difesa.

Questa attivazione era indubbiamente utile per i nostri antenati preistorici (dei quali abbiamo ancora in gran parte la costituzione) che ad es. riconoscendo in fretta, a seguito di un fruscio dietro un cespuglio la possibile presenza di un leone o di un nemico, si preparavano ad un difesa fisica in cui avrebbero avuto bisogno, per resistere più a lungo ad uno sforzo fisico intenso, di inspirare rapidamente molta aria.

E’ molto meno utile per noi, che al giorno d’oggi, più che dei riflessi automatici rapidi necessari per difenderci da un nemico armato di clava, riflessi attivati dall’inspirazione, abbiamo invece più spesso bisogno di più calma, serenità e riflessione.

E per soddisfare questa necessità è necessaria una prevalenza del sistema parasimpatico.

Questa prevalenza attenua l’azione del simpatico e calma lo stress e le irritazioni alle quali al giorno d’oggi siamo esposti.

Questa attività tranquillizzante e calmante del parasimpatico, durante l’espirazione viene maggiormente attivata.

Queste osservazioni del prof. Eggetsberger, confermate dai moderni sistemi che consentono di osservare le zone del cervello attivate durante la respirazione, erano note già secoli fa ai maestri di yoga e qi gong, che in vari esercizi raccomandavano di far durare l’espirazione più a lungo dell’inspirazione, e sono confermate anche in studi scientifici.

Tra questi studi vi è ad es. quello condotto dalla Dr. Zelano et al. (ved. Journal of Neuroscience 7 December 2016, 36 (49) 12448-12467) in cui è stato constatato come l’attività cerebrale dei pazienti oscillasse nel ritmo del loro respiro.

Come osserva la Dr. Zelano: “Il nostro studio mostra che vi è una drammatica differenza nell’attività cerebrale durante l’inspirazione e quella durante l’espirazione. Quando ci troviamo in situazioni di paura o panico il nostro ritmo respiratorio diventa più rapido e di conseguenza la nostra ispirazione dura più a lungo di quanto sarebbe normale in una situazione di tranquillità.”

Queste “moderne” constatazioni, osservazioni, oltre ad essere note da secoli agli antichi maestri di yoga e qigong, erano state confermate più di 70 anni fa in particolare dal prof. Buteyko, e nel suo metodo, diretto ad eliminare l’iperventilazione viene raccomandato, tra gli altri esercizi, di abituarsi a far durare in genere l’espirazione più a lungo dell’inspirazione.

Avviso importante:

Tutti i notiziari qui riportati hanno solo scopo informativo e, anche se alla redazione ha partecipato un medico, non intendono in alcun modo dare consigli medici, per i quali sarebbe necessario un esame medico individuale e di persona, con approfonditi accertamenti.

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